Definizione
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) fanno riferimento prima ancora che a problemi nell’alimentarsi, alle difficoltà di come il soggetto si sente nel suo mondo, a disturbi nella capacità di entrare in relazione con se stessi, con il proprio corpo, con gli altri. Si tratta di disturbi di tipo psichico e rientrano pertanto nelle competenze della psichiatria e della psicologia clinica, anche se spesso le conseguenze fisiche di un protratto squilibrio alimentare chiamano in causa anche interventi di tipo medico, in particolare endocrinologici, cardiologici e nefrologici.
Individuare i DCA
Chi soffre di una patologia alimentare ha modificazioni del peso corporeo, abitudini alimentari particolari, ma soprattutto vive profondamente l’esperienza di espulsione, solitudine, preoccupazione, incomunicabilità, paura. Sentimenti che si riferiscono all’incapacità d’impegnarsi nella propria esperienza, all’impossibilità di sentirsi autori delle proprie scelte vita, alla negazione dell’esperienza di vivere il proprio corpo, all’impronunciabilità della propria sofferenza.
È sullo sfondo di queste afflizioni che i sintomi diventano la personalissima interpretazione di un dolore che, non trovando parole, si esprime direttamente sul corpo. In quanto segni di un processo che è altrove, i sintomi diventano la storia del soggetto anziché una mera devianza statistica. I segni manifesti delle patologie alimentari s’iscrivono nel corpo mortificato, dimagrito, riempito e svuotato, gonfiato e offeso e in quei comportamenti di manipolazione del corpo incomprensibili, odiosi, temuti eppure irrinunciabili.
Restrizioni alimentari e condotte di compensazione
I disturbi alimentari assumono i codici della cultura attuale della “cura del corpo”, una cura-maltrattamento in cui il corpo è sottratto al suo divenire e diventa immagine irriconoscibile e manipolabile. Per questo, i disturbi alimentari si manifestano attraverso la forma di modificazioni ponderali stabili o fluttuanti, di preoccupazioni dietetiche eccessive legate in generale all’immagine corporea e comportano il più delle volte una “dieta” o condotte di compensazione (come il vomito autoindotto, l’uso abituale di lassativi o l’iperattività fisica).
Ci sono poi le modificazioni sostanziali dell’apporto alimentare che comportano alterazioni ponderali, sono: l’iperfagia, l’atto del pilluccare e le restrizioni alimentari. L’iperfagia è un apporto eccessivo di cibo, chiaramente al di sopra della media il numero di pasti giornalieri (dai tre ai sette) e la quantità di cibo per ogni pasto. L’atto del pilluccare si produce al di fuori dei pasti e può protrarsi anche per tutta la giornata; può esserci un solo alimento incriminato e di solito si tratta di cibi che non richiedono preparazione, quindi immediatamente disponibili (dolci, biscotti, caramelle…); la sensazione di fame non è abituale nel pilluccare e non è solitamente presente la sensazione di perdita del controllo.
Le restrizioni alimentari, frequenti nel periodo pre- puberale, sono restrizioni che limitano la quantità e/o la qualità di cibo, gli alimenti non ammessi sono di solito pasta, dolci, condimenti e formaggi.Nei comportamenti alimentari qualitativamente alterati, infine, il fatto di mangiare è in sé alterato e l’assunzione di un alimento assume significati simbolici diversi, generalmente di minaccia e di pericolo. Solo attraverso un’operazione di traduzione dei codici comportamentali alimentari al linguaggio unico della propria storia, che essi potranno assumere un valore esistenziale, un significato psichico particolare.